Il Cafone e il suo inutile turpiloquio

Nella presente nota il redattore analizzerà la riprovevole propensione del Cafone all’utilizzo del turpiloquio. E’ sufficiente leggere i primi due post del Cafone nel suo blog, per scoprire come già alla terza riga del primo non riesca a trattenersi.

https://marcobradipo.wordpress.com/2015/01/16/eccomi-sono-tornato/

https://marcobradipo.wordpress.com/2015/01/27/il-sopralluogo/

Leggiamo:

Alcuni dicono che il tempo cambi le persone. Che le migliori. Sono passati due anni dalle mie ultime scorribande sul web e sui social media, ma, per me, dopo tutto questo tempo, non è cambiato un cazzo.

Un incipit a dir poco raccapricciante per il quale, nella chiosa della proposizione, potevano essere utilizzate formulazioni alternative. A titolo di esempio e a beneficio del Cafone, il redattore ne cita solo alcune:

….non e’ cambiato niente
….non e’ cambiato nulla
….non ci sono stati cambiamenti
….tutto e’ rimasto invariato
….non ho ravvisato rilevanti variazioni
…etc.

Il Cafone ha scelto la soluzione peggiore, probabilmente la prima che gli e’ venuta in mente, senza pensare, forse perché non ne è capace.

Altrove nel primo e poi nel secondo post, intitolato Il sopralluogo troviamo tre perle di eleganza:

Me n’ero andato da questa Roma un po’ sorniona che mi scriveva in privato ma ‘ndo stai, che fai, prima te fai l’account su 8a.nu, dici che hai fatto questo, hai fatto quello, ma ‘sta cosa ce comincia a puzzà, vieni un giorno con noi, fàcce vede, maddeché stamo a parlà. Che poi su certe vie ci avevo scremato per davvero, tipo la mistica giraffa o l’equinozio delle banane. Ma di queste magari un’altra volta. Ovviamente le solite stronzate di sempre.

Qui, si rileva una tautologia: se le stronzate sono le solite, sono anche di sempre e non serve ripetere il concetto per due volte in sei parole. Forse il Cafone intendeva dire le stesse stronzate di sempre, ma gli è riuscito male. Pazienza.

In luogo del termine stronzate, grezzo come il Cafone che lo ha vergato, si potevano utilizzare ad esempio:

baggianate, bischerate, frescacce, sciocchezze, inezie, bagattelle, bazzecole, quisquilie, scemenze, cretinate, stupidaggini, idiozie, stupidate, bestialità, corbellerie, fesserie, ridicolaggini.

Come si vede, esisteva un’ampia tavolozza di scelte, che permettevano di modulare il concetto. Ma il vocabolario del Cafone e’ evidentemente molto limitato.

Sempre nel primo post si legge:

[omissis]… e poi torno in Italia, a Roma, e trovo la solita manica di stronzi a discutere su climbook se la via che hanno assediato per due mesi, bastonandola un giorno sì e l’altro pure, sia 5c.9 oppure (udite udite) 6a.1.

E nel secondo:

Non è il mio stile, ma non mi è sembrato per niente una calla, giusto di pochissimo più facile del passaggio chiave di Lady Evil al Moneta. E ho detto tutto. I dettagli sui punti decimali del grado li lascio a voi, ma non fatevi troppe illusioni, è duro. Poi non dite che non ve lo avevo detto, stronzi.

Qui addirittura, con ripugnante maleducazione, il Cafone si rivolge direttamente ai lettori, in seconda persona plurale, apostrofandoli niente meno che come stronzi.

Il redattore a questo punto, ritiene di dover interpretare il pensiero dei gentili lettori e di rispondere, almeno per questa volta, secondo le rime.

Caro signor Cafone, str….. sarà Lei!

Le persone come il Cafone utilizzano il turpiloquio pensando di fare cosa gradita a coloro che li ascoltano o li leggono e di passare per uomini scafati, intelligenti, moderni, che non si allineano alle convenzioni sociali.

L’utilizzo del turpiloquio è deprecabile. Sempre. Ma quando lo si fa per iscritto diventa insopportabile, intollerabile, inammissibile, fastidioso, insostenibile per l’occhio e per la mente.

In primo luogo, ritine il redattore, si tratta di una questione di educazione. Signor Cafone, mamma e papà non Le hanno mai detto di non dire le parolacce? Certamente si, ma Lei non era un bambino ubbidiente e quindi le diceva lo stesso.

Ne diceva ai suoi amichetti, per far vedere che era diventato grande, magari davanti a Bernadette, la bambina con le treccine della quale era segretamente innamorato e che purtroppo guardava Filiberto, il bambino biondo, quello col papa’ con i soldi. Il cafone (allora senza C maiuscola) non sapeva che la bambina con le trecce era innamorata di Filiberto non perché fosse biondo o avesse il papà ricco, ma semplicemente perché, diversamente da lui, era educato e gentile.

“Ma quant’era bona Bernadette”

Ne diceva, per far vedere che non si assoggettava all’autorità della maestra prima e dei professori poi, così poteva sostenere davanti ai suoi genitori e a se stesso di prendere quattro non perché fosse una capra, ma perché i professori ce l’avevano con lui.

Ne diceva al bar, il pomeriggio, insieme ai suoi amici perditempo, mentre parlava di calcio, di motori e di donne, di solito inventando avventure sessuali che non avevano mai avuto luogo, con ragazze molto carine del quartiere. Lo faceva per allinearsi al modo di essere di quella tribù di inutili e insensati parassiti umani.

Tutti comportamenti comprensibili, che probabilmente fanno parte del passato di molti lettori, tra cui lo stesso redattore. Da allora è passato del tempo, e, contrariamente alle comuni prassi, il Cafone ha continuato ad usare il turpiloquio, credendo di rafforzare con quei termini l’espressività dei suoi primitivi e modesti pensieri.

Comportamento biasimevole di per se, ma tutto sommato non grave, se consideriamo che ciascuno può’ liberamente decidere se frequentare o meno il Cafone, esimendosi volontariamente dal dover ascoltare le sue fastidiose e irritanti parolacce.

Tuttavia, in tempi recenti, l’avvento del web, ha fatto sì che questo problema possa avere un impatto anche su coloro che con il Cafone non hanno e non intendono avere relazioni.

Egli infatti, appesta per iscritto la rete con la sua prosa sozza e disgustosa, intrisa di volgarità e turpitudine, di scurrili ed offensive apposizioni ai danni del malcapitato fruitore.

Il redattore ne è un esempio.

Il Cafone in tutta evidenza non distingue tra la parola detta e la parola scritta. Esistono cose che si possono dire, ma che non si possono scrivere. Ciò e chiaro a molti, ma non a tutti. Tanto meno al Cafone.

Non sembri quella del redattore un’invettiva fuori del tempo, il pamphlet bigotto di un becero reazionario, la squallida ramanzina di un borghese benpensante e conformista. Il redattore, in quanto tale, redige per iscritto ciò che vede e sente e pertanto rientra nella di lui quotidiana normalità ascoltare qualcuno che dice le parolacce. Cionondimeno, il redattore, non riesce ancora ad accettare coloro che nei social network, illudendosi di essere tra quattro amici al Bar dello Sport, utilizzano le parolacce per aggravare l’offesa, che diventa gratuita, o per sovraccaricare il concetto, che si appesantisce a tal punto da sprofondare sotto terra per quindi scomparire.

Nella speranza che il Cafone possa un giorno leggere queste note, il redattore, nel sanzionare senza remore i suoi comportamenti, intende comunque dare a questo scritto una funzione didattica ed educativa e conclude quindi con una esortazione.

Caro signor Cafone, non è mai troppo troppo tardi. Per favore non dica più, ma soprattutto non scriva più le parolacce.

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